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Inquinamento della zona industriale: una ricostruzione storica

Di Arcolini Gaia, Genovese Giulia, Levrero Laura 

L’inquinamento, alterazione naturale o antropica dell’ambiente, ha da sempre caratterizzato negativamente la vita dell’uomo, portando problemi di salute ambientale e popolare. Il nostro territorio in particolare, ha subito un pesante danno a causa di un forte inquinamento industriale.

Nel 1980, a Massa, si sono verificati i primi danni all’interno di una fabbrica della Montedison, la Farmoplant, specializzata nella produzione di fitofarmaci, ovvero pesticidi, come il Rogor.

L’incendio del 17 agosto 1980 al magazzino esterno provocò una fitta nube solforosa che fu la  causa scatenante di un’attiva lotta ambientalista a cui prese parte la maggioranza degli abitanti. Data la forte insistenza della popolazione la fabbrica venne inizialmente chiusa, ma riaperta poco dopo a seguito di un’occupazione di una linea ferroviaria da parte degli operai licenziati. Dal 1981 (anno in cui venne riaperta la fabbrica) al 1988,  gli ambientalisti continuarono a promuovere proteste, coinvolgendo anche i più giovani.

Le lotte studentesche furono un’arma fondamentale: i ragazzi parteciparono attivamente alla protesta fornendo idee per una soluzione che proteggesse l’ambiente e mantenesse inalterati i livelli occupazionali.

In quegli anni vennero chiusi dei pozzi nelle vicinanze dello stadio massese, poiché presentavano valori elevati di sostanze chimiche nocive. Si scoprì dunque che la Farmoplant riversava i pesticidi di scarto nel terreno. Tuttavia, i valori non appartenevano solo alle sostanze contenute nel Rogor, ma anche ad alcuni fitofarmaci in frequente uso nella Pianura Padana. Seguì quindi una seconda importante scoperta: la fabbrica della Montedison stava sviluppando al suo interno anche delle biotecnologie che permettessero alle coltivazioni padane a rischio di svilupparsi ugualmente.

Quest’ultima novità contribuì a far circolare l’idea che la fabbrica potesse restare, diversificando le produzioni, passando dal chimico al biotecnologico. Le manifestazioni si intensificarono soprattutto quando i politici promossero l’idea di accendere un inceneritore per smaltire i prodotti fallimentari.

Gli studenti proponevano, in alternativa, un processo inverso di chimica che riportasse allo stato originale le componenti dei rifiuti tossici, procedimento costoso ma vantaggioso per l’ambiente che, in caso contrario, sarebbe stato contaminato da nubi tossiche portate dalla combustione di agenti nocivi.

I politici sostennero comunque l’idea dell’inceneritore, innescando inevitabilmente una reazione catena su tutto il territorio nazionale. In seguito all’episodio massese, infatti, vennero accesi altri inceneritori in altre province italiane, aumentando il livello di smog della penisola.

Le lotte ambientaliste continuarono per anni attraverso sit-in, pacifiche occupazioni di strade come l’Aurelia o manifestazioni simboliche (come il bruciare un inceneritore fatto di cartone con sopra i nomi di politici che senza scrupoli lo avevano eretto). La scelta della non violenza e dell’uso consapevole della parola fu molto di impatto ed ebbe come conseguenza la presa di coscienza della popolazione sui rischi ambientali insiti in certe lavorazioni.

Nonostante i forti messaggi mandati alle istituzioni, la fabbrica venne chiusa definitivamente solo nel 1988, a seguito di molteplici esplosioni ed una seconda chiusura momentanea (come nel 1980).

Il 17 luglio 1988, poco dopo le sei di mattina, si verificano ben due esplosioni all’interno dello stabilimento: la prima all’interno di un impianto, mentre la seconda interessò un serbatoio contenente Rogor liquido che si surriscaldò ed aumentò di pressione. Poche ore dopo altre due esplosioni si verificarono nella fabbrica (a causa di un irraggiamento termico di gas accumulati nei tubi in cui scorreva il Rogor) e portarono ad un enorme incendio.

 

I cittadini si diedero alla fuga, scapparono verso Viareggio o verso i monti.

 

“Avevo quattordici anni, ricordo che al risveglio, la nube nera era visibilissima, i miei genitori in tutta fretta mi fecero salire in macchina e andammo verso il Pasquilio, per allontanarci il più possibile”

 

Alcuni fuggiaschi tornarono a  casa dopo qualche ora, altri il pomeriggio, altri ancora qualche giorno dopo.

 

“Ci dissero di non consumare frutta e verdura prodotte nella zona”

 

A seguito dell’incidente le attività produttive ripresero a  regime ridotto, finché nel 1991 Montedison decise di chiudere definitivamente lo stabilimento.

 

Seppure siano passati trent’anni, il disastro ambientale della Farmoplant ha ancora conseguenze, soprattutto sul piano ambientale. A fine anni Ottanta fu istituita una commissione per valutare il piano di bonifica della zona, molto criticata per un approccio ritenuto approssimativo e che coinvolse dirigenti della stessa Montedison. I lavori di bonifica veri e propri iniziarono nel 1991 e proseguirono fino al 1995. Ci si concentrò soprattutto sulla qualità dell’acqua e sulle sue contaminazioni.

Una lunga causa legale vide contrapposte Edison (nuovo marchio di Montedison) e la provincia di Massa Carrara, determinata a ottenere risarcimenti per danni ambientali. Nel 2010 la provincia e i comuni coinvolti accettarono un risarcimento proposto da Edison, ma ritenuto da molti osservatori in difetto rispetto all’effettivo danno subito.

Nonostante successivi interventi, l’area industriale dove era attivo lo stabilimento Farmoplant, risulta ancora inquinato. La causa è in parte dovuta alle scelte dell’amministrazione locale che dispose uno smaltimento dei rifiuti liquidi non idoneo e che portò a nuove contaminazioni nella falda acquifera. Rifiuti solidi furono interrati in diverse zone dello stabilimento, comportando ulteriori rischi per l’ambiente.

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